giovedì 5 aprile 2018

To Do- Degli Imprinting

Ischia e il Monte Epomeo.


L’ “imprinting”: è una parola che utilizzo spesso, probabilmente associandole un significato tutto mio, fino a qualche giorno fa, in cui durante la lezione di Lab IV, ho sentito questa parola e ne ho compreso, forse, il reale significato. Non ci ero andata troppo lontana, sapevo più o meno a cosa si riferisse, ma ora ho sicuramente una visione più chiara. Allora, riflettendo sul mio, o meglio, sui miei imprinting, mi è subito venuto in mente ciò che ho sempre sostenuto essere un’ “imprinting”: Roma. Quando parlo di Roma la definisco il mio imprinting nel momento in cui, circa 6 anni fa, guardando il Colosseo, ho capito che sarebbe stata la “mia città”. Ma questo è il mio imprinting “post adolescenza”, che sì, ha causato un cambio radicale nella mia vita, è segnato sulla pelle, ma non è questo che voglio descrivere oggi.

Però, c’è da dire, che non è stato il primo, il più segnante, credo. In teoria, essendo cresciuta in una posto  costiero, ho pensato che avrei dovuto ricercarlo nella mia città d’origine, magari ricordando ciò che provavo guardando il mare. Nessun successo, niente di “eclatante”.

Per questo, ora voglio descrivere quello che è stato, probabilmente, il primo vero imprinting (con il significato appreso a lezione) della mia vita, quello dell’infanzia: le annuali escursioni sul Monte Epomeo durante i soggiorni estivi ad Ischia. Ogni estate, da quando avevo 5 anni (o anche meno, non ricordo), a Luglio, io e la mia famiglia unita passavamo 2 settimane in un residence ad Ischia. Ogni estate, fino ai miei 11 anni, quando la mia famiglia si è divisa perché i miei genitori si sono separati. Non vado ad Ischia da allora, e oggi di anni ne ho 23 quasi. Però (e qui mi accorgo che, per quel che ho capito, è stato questo il mio primo imprinting) nonostante sia passato del tempo e la mia mente per autodifesa si sia dimenticata di tutto quello che è stato, o per lo meno, i ricordi sono poco chiari, del Monte Epomeo mi ricordo tutto e bene. Ricordo mio padre che, ogni anno, doveva necessariamente mangiare il famoso coniglio nel ristorante lì, sul monte.
E allora, ogni anno, gambe in spalla e si saliva. Ed è mentre si saliva che il paesaggio che mi circondava non mi lasciava indifferente, a quanto pare. C’è qualcosa, relativa ad un momento preciso, che mi è rimasta impressa particolarmente: vidi del fiori bianchi, in mezzo al “nulla”, sulla roccia, e chiesi a mio padre cosa fossero. Lui mi rispose che erano dei gigli e che erano fiori forti, per questo crescevano indisturbati. Ho capito, con il passare degli anni, che questo piccolo episodio mi aveva colpita quando ho deciso, per la prima volta, di volerlo imprimere sulla pelle, dopo aver fatto ricerche e aver capito che quel momento, quel giglio, era il significato che ho dato alla mia famiglia: la forza e la purezza, nonostante tutto. La mia forza.

Se dovessi descrivere, invece, il luogo nel complesso, parlerei innanzitutto di quel posto in cima al monte dove, finalmente, mio padre avrebbe mangiato questo fantomatico coniglio: sembrava fuso con la pietra, rustico, quasi irriconoscibile. Visto da lontano, oltre che sembrare irraggiungibile, aveva una forma che all’epoca mi sembrava strana, frastagliata, tipica di un “cucuzzolo della montagna”, ovvero ciò che era effettivamente. Poi arrivavo in cima e tutto era più chiaro, c’era il pavimento, non dovevo volare per entrare nel ristorante!
Oggi, se dovessi guardarlo con occhio critico, lo assocerei ad una scultura: una roccia lavorata, scavata, livellata, anche con parti costruite in cui collocare i vari spazi. Potrei sfruttare quest’idea per il mio progetto, ovvero il prendere una forma più o meno semplice (nonostante la montagna non lo sia) e scavarla, poi aggiungerci una parte, poi ricreare un vuoto per riempirne un altro dalla parte opposta ad esempio.

Tornando alla vista “interna” al monte, ricordo che durante la passeggiata, ci siam sempre imbattuti in questa piccola chiesetta che mi ha dato sempre la stessa impressione, ovvero l’essere fusa con la roccia stessa.
Una volta salita, da lì, il panorama era magico, più magico di tutti gli altri scorci mai visti. Il mare in lontananza, la costa con tutta la città costruita e la montagna. C’era tutto, c’era il mare che, inevitabilmente fa parte di me, la città sul mare e la montagna, che è ciò che paradossalmente preferisco. E c’ era la mia famiglia unita, con me.

BIANCO INCASTONATO





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